Mi avete perso! Feriti, vagabondi, dissidenti

Mi avete perso! Feriti, vagabondi, dissidenti


Secondo lo studio portato avanti dalla Georgetown University i giovani che lasciano le chiese tra i 10 e i 20 anni si dividono in: feriti, vagabondi e dissidenti.

Ne abbiamo parlato con Abigaela Trofin, pastora avventista.

La verità presente 24 del 26 giugno 2019

La verità presente 24 del 26 giugno 2019


Un programma ideato e curato dal pastore avventista Gioacchino Caruso.
Dopo una breve sintesi delle puntate precedenti sulle false e velenose dottrine, in questa puntata prenderà in esame alcuni testi biblici per spiegare cosa sono per Dio le abominazioni.

Confessare la fede 01

Confessare la fede 01


Inizia con questa trasmissione una serie di riflessioni del pastore Luca Faedda sui punti fondamentali della fede cristiana cosi’ come e’ compresa ed esposta dalla Chiesa avventista nella sua confessione di fede ufficiale. In questo numero il tema e’ quello delle Scritture come base della fede cristiana.
Luca Faedda e’ intervistato da Roberto Vacca

Dichiarazione EUD sulla consacrazione femminile

Dichiarazione EUD sulla consacrazione femminile

EUD_logoMaol – Il Comitato plenario della Divisione Intereuropea (EUD) della chiesa, di cui fa parte anche l’Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno, riunitosi a Bucarest, dal 29 ottobre al 2 novembre, per l’incontro di fine anno, ha votato la seguente dichiarazione circa il voto preso dall’Assemblea Mondiale di San Antonio, lo scorso luglio, sulla consacrazione femminile al ministero pastorale:

«1. La Divisione Intereuropea (EUD) rispetta la decisione presa all’Assemblea Mondiale di non consentire alle Divisioni nel mondo di consacrare le donne al ministero pastorale.

2. L’EUD riconosce che il voto preso non cambia la comprensione della Chiesa sul ruolo delle donne nella vita e nella missione della Chiesa stessa, e cioè che le donne possono essere consacrate anziani della chiesa locale e possono lavorare come pastore autorizzate.

3. L’EUD raccomanda vivamente e chiede di:
Mostrare apprezzamento a tutte le donne impegnate nelle attività della chiesa, in qualunque ambito esse operino, tra cui il ministero pastorale.
Sostenere e incoraggiare le donne che hanno i talenti e si sentono chiamate al ministero pastorale perché siano formate e impiegate come tale.
Mostrare rispetto per chi può pensarla in modo diverso.
Evitare ogni tipo di dichiarazione o iniziative provocatorie e offensive.
Evitare di cadere nella trappola di usare le proprie risorse a scapito della missione che ci è stata affidata.

4. L’EUD opera a stretto contatto con la Conferenza Generale e con le altre Divisioni del mondo, che affrontano le stesse sfide, per trovare il modo migliore di prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne».

In che cosa crediamo? – Le dieci parole

In che cosa crediamo? – Le dieci parole

M5-Le dieci parole(asseret hadibberot)

«Il Signore disse a Mosè: “Ecco, io verrò a te in una fitta nuvola, affinché il popolo oda quando io parlerò con te, e ti presti fede per sempre”. E Mosè riferì al Signore le parole del popolo» (Es 19:9). «Il Signore disse a Mosè: “Parlerai così ai figli d’Israele: Voi stessi avete visto che io vi ho parlato dai cieli”» (20:22).

«Allora Dio pronunziò tutte queste parole…» (v.1). «Tutte queste parole» sembra un’aggiunta inutile; si poteva dire semplicemente: «Allora Dio parlò dicendo…». In riferimento a «tutte queste parole», il commento di Rachi, rabbino del medioevo, spiega che Dio avrebbe pronunciato le dieci parole con un unico suono, e solo a partire dal versetto 2 le avrebbe ripetute una a una. «Io sono Hashem [il Signore lett. il Nome], il tuo Dio…». In ebraico, il pronome «io» si dice «ani», ma qui troviamo la forma «anochi» che ne sottolinea l’unicità e l’autorevolezza. Riconoscere il Signore come proprio Dio è il requisito indispensabile per osservare la sua legge.

In che cosa crediamo? – Dieci parole, sempre valide

In che cosa crediamo? – Dieci parole, sempre valide

M4-Gli avventisti credono_Primo comandamento«Io sono il Signore, il tuo Dio…»

Queste prime parole sono le più importanti del decalogo. «Io sono il Signore»: prima di chiedere rispetto e ubbidienza, Dio presenta le sue credenziali. Egli è colui che libera il suo popolo dalla schiavitù. Le sue leggi sono il fondamento della nostra libertà.

Accettando l’Io sono, accettiamo l’unico Signore; i signori terreni non possono sostituire la sua signoria, ma l’ubbidienza al suo comandamento c’impone di ubbidire anche ai nostri genitori e ai superiori. Anche l’ubbidienza resa agli uomini ha valore solo in quanto è dovuta a Dio: «Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini» (Col 3:23).

«Io sono il Signore» è l’ala che ripara tutte le dieci parole.

In che cosa crediamo? – Il giudizio finale

In che cosa crediamo? – Il giudizio finale

M3-Giudizio_millennioL’apostolo Paolo scrive: «… il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 6:23). Il dono della vita eterna si realizzerà completamente al ritorno di Gesù quando coloro che sono morti conservando la loro fede nel Signore risusciteranno per primi unendosi con i viventi fedeli nel tempo della fine. L’immortalità non appartiene alla natura umana. Dio è «il solo che possiede l’immortalità…» (1 Tm 6:16).

La risurrezione costituirà l’adempimento dell’opera della salvezza individuale. La Scrittura (cfr. Ap 20) parla di un periodo di mille anni (il «Millennio») in cui i redenti saranno con Cristo, mentre i perduti aspetteranno nel «sonno della morte» la loro risurrezione per il giudizio finale, in seguito al quale saranno come se non fossero mai esistiti. Questa è chiamata «la morte seconda» (Ap 20:14). Alla fine del Millennio, insieme agli empi, saranno giudicati anche Satana e i suoi angeli, che verranno annientati dalla giustizia divina. Allora si compirà l’intero piano di Dio che prevede la scomparsa del male, della sofferenza e della morte, e un’eternità piena di significato in un mondo rinnovato per sempre. La Parola di Dio non autorizza a credere all’esistenza di inferno, pene eterne e purgatorio.

In che cosa crediamo? – La seconda venuta di Cristo

In che cosa crediamo? – La seconda venuta di Cristo

M2-Ritorno CristoDinanzi ai problemi drammatici che angosciano la società moderna, a volte anche i cristiani restano disorientati o sprofondano nel pessimismo. Questo avviene perché troppi fra loro hanno dimenticato che la storia, al di là delle sue contraddizioni, non è «allo sbando», ma sfocerà in una rivoluzione operata da Dio stesso. Si tratta di una promessa del Signore, ribadita tante volte negli scritti neotestamentari: «Io tornerò». Anche se, per la coscienza moderna, tutto ciò può sembrare una facile deresponsabilizzazione, il Signore ci invita a guardare al futuro con speranza e ottimismo, pur non dimenticando i nostri fratelli che oggi soffrono.

Il messaggio della Bibbia è che il destino del mondo non è lasciato in balia del caso e delle passioni umane; esso ci dice che il Signor Gesù tornerà materialmente e visibilmente per giudicare ogni uomo, per offrire la vita eterna ai credenti e per far cessare il peccato, la sofferenza, l’ingiustizia e la morte. Quest’attesa era parte integrante della fede della chiesa primitiva. Era la «beata speranza» di cui parla l’apostolo Paolo (cfr. Tt 2:13).

Nessuno conosce la data del ritorno del Signore, «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (Mt 25:13), e questo anziché un ostacolo rappresenta uno stimolo per ogni credente a «essere pronto», a non appiattirsi mai sui modelli del proprio tempo come se fossero verità definitive, come se il presente fosse l’unica dimensione della propria esistenza.

Una chiesa che vive veramente la sua missione in questa prospettiva, non si difende dal mondo con le sue stesse armi (violenza, potere, ricchezza…), né corre il rischio di identificarsi attualmente con il regno di Dio. L’annuncio del prossimo ritorno di Gesù è il fondamento della missione della chiesa avventista nel mondo.

In che cosa crediamo? – Etica e vita cristiana

In che cosa crediamo? – Etica e vita cristiana

M1-Etica e vita cristianaNella vita cristiana dovrebbe manifestarsi il «frutto dello Spirito»: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo; contro queste cose non c’è legge» (Gal 5:22,23). Nella condotta personale, nella vita di famiglia, nell’azione sociale, il credente deve testimoniare la scelta di seguire la volontà di Dio. La fede senza le opere è morta (cfr. Gc 2:17).

Il cristiano è chiamato a vivere un’esistenza in cui i valori nei quali crede sono espressi nel proprio carattere, che deve ispirarsi a quello di Gesù. La bontà, la sensibilità, la tolleranza, la modestia, l’onestà, la purezza, ecc., sono la migliore testimonianza che il mondo può ricevere dai credenti.

Il cristiano è anche «operatore di pace» e gli avventisti rifiutano il ricorso alla violenza come soluzione delle controversie tra gli uomini.

La Chiesa avventista pone un accento particolare anche sulla cura del corpo e rifiuta l’uso di droghe, alcol e tabacco, oltre a promuovere un’alimentazione il più conforme possibile ai principi espressi nella Scrittura.

Gli avventisti credono inoltre in un’etica sessuale ispirata ai principi della Parola di Dio e rifiutano una sessualità vissuta al di fuori del vincolo matrimoniale.

In che cosa crediamo? – Il cristiano, amministratore di Dio

In che cosa crediamo? – Il cristiano, amministratore di Dio

041911_3c920ef0e49072bb85558b680b31e9dc.jpg_srz_350_200_85_22_0.50_1.20_0.00_jpg_srzIl credente è consapevole di aver ricevuto tutto da Dio: la vita fisica, l’intelligenza, gli affetti più cari, la salvezza eterna. Anche il fare del bene agli altri è una delle tante opportunità che l’esistenza gli offre come dono di Dio.

Noi siamo responsabili di fronte al Signore dell’uso che facciamo di tutte le benedizioni che egli ci ha accordato.

«Nessun uomo è un’isola» e tanto meno il cristiano, inviato nel mondo per essere una luce.

Prima di tutto il Signore chiede il nostro tempo per il suo servizio: ogni cristiano è invitato dal Vangelo a dedicare del tempo alla testimonianza, ad aiutare il prossimo, a coltivare la propria vita spirituale. In secondo luogo egli desidera che i nostri «talenti» e «doni» non diventino strumenti per il nostro egoismo.

Gli avventisti accettano anche il sistema delle «decime e delle offerte» per sostenere la chiesa nelle sue molteplici attività. La missione che la chiesa deve compiere nel mondo necessita di mezzi e gli avventisti propongono questo sistema che aveva procurato già tante benedizioni al popolo di Israele.

Restituire la decima parte dei propri guadagni e contribuire con offerte volontarie, oltre a permettere il mantenimento dell’opera di Dio nel mondo nel campo evangelistico, educativo, assistenziale, costituisce anche un mezzo di crescita interiore nell’amore e nell’altruismo.

In che cosa crediamo? – Il sabato

In che cosa crediamo? – Il sabato

Testata-Rettangolare-300x214«Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città; poiché in sei giorni il Signore fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il Signore ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato» (Es 20:8-11).

È uno dei più controversi comandamenti del decalogo, e ancora oggi è difficile comprenderne la portata e l’applicazione: il sabato va sperimentato oltre che compreso. Possiamo domandarci: non è un atto formale l’interruzione delle normali attività umane? Quale vantaggio ne ha il Signore? La risposta è semplice: è l’uomo che ne può trarre il maggior beneficio.

Nella storia dell’umanità il giorno festivo ha attenuato la schiavitù dell’uomo e gli ha rammentato che esiste un «padrone» nel cielo, superiore a qualunque padrone terreno, un padrone che è dalla parte dei poveri e degli oppressi. E anche oggi il giorno festivo settimanale assolve una funzione importante. La nostra attenzione viene infatti continuamente sollecitata per proporci consumi, per imporci un attivismo frenetico, per insegnarci a divertirci spendendo. Tra questi stimoli rischiamo di dimenticare noi stessi.

Il sabato biblico serve al credente per riscoprire se stesso e il suo rapporto con il Creatore. Non dobbiamo concepire il tempo come radicalmente diviso fra sacro e profano: tutto il tempo può essere dedicato alla gloria di Dio, anche quello utilizzato lavorando. Ma il Signore ci conosce e sa che solo fissando dei limiti possiamo regolare la nostra vita secondo un progetto equilibrato. Ecco che, paradossalmente, un divieto, invece di rappresentare un limite per la libertà e la dignità dell’uomo, tende a esaltarne tutte le potenzialità.

Il sabato non va vissuto come facevano i farisei, come un insopportabile codice di divieti. Gesù ha rovesciato questa concezione: «… Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2:27). Ma perché proprio il sabato e non la domenica o un altro giorno? La risposta è allo stesso tempo semplice e complessa. Il fatto che la domenica non abbia basi bibliche risulta evidente anche a una lettura superficiale del Nuovo Testamento. Perché allora proprio il sabato?

Nel racconto biblico il sabato risale direttamente alla settimana creativa, è il settimo giorno durante il quale Dio «si riposò» dando un esempio all’uomo, offrendo un dono non a un popolo, ma all’intera umanità. Noi avventisti crediamo che nessuna autorità terrena, neppure la chiesa, possa cambiare o eliminare un comandamento di Dio. Come sarebbero diversi, migliori, gli uomini se riuscissero un giorno su sette a ritrovare la propria dimensione più profonda, riscoprendo il loro Dio e Creatore! La chiesa avventista invita tutti a fare questa esperienza che, se capita nel suo giusto valore, può arricchire enormemente la vita di ognuno.

In che cosa crediamo? – La legge di Dio

In che cosa crediamo? – La legge di Dio

M36-dieci-comandamentiGli avventisti si sentono chiamati da Dio al compito particolare di riproporre con forza al mondo contemporaneo il valore eterno dei dieci comandamenti. I credenti nell’Apocalisse sono definiti nell’Apocalisse come coloro «che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù» (Ap 14:12).

Le «dieci parole» del Sinai restano un punto di riferimento fondamentale con cui anche la morale laica deve fare i conti. Ogni cosa nell’universo risponde a leggi; la vita fisica stessa si regge su leggi immutabili. Ma il nostro vivere abbraccia anche valori non materiali: intelligenza, bellezza, volontà, etica, spiritualità. E anche questi valori hanno le loro leggi.

Solo Dio, che ci ha creati, conosce le leggi che ci permettono di vivere in armonia con lui, con il suo progetto, con il prossimo, con la natura. La Bibbia afferma che il nostro malessere morale deriva proprio dalla volontà di sottrarci alle leggi che Dio ha donato e che sono espressione del suo carattere; fra di esse i dieci comandamenti sono i più importanti.

L’apostolo Giacomo afferma: «Parlate e agite come persone che saranno giudicate da quella legge che ci porta alla vera libertà» (Gc 2:12, Tilc). L’evangelista Giovanni scrive: «Se mettiamo in pratica i comandamenti di Dio, noi possiamo avere la certezza di conoscere Dio… Amare Dio vuol dire osservare i suoi comandamenti. E i suoi comandamenti non sono pesanti» (1 Gv 2:3; 5:3).

Le dieci parole date al Sinai non scadono perché la volontà umana avrà sempre bisogno di una guida chiara e sicura. Ma anche un’espressione così elevata di giustizia può trovare il suo senso più profondo solo nel messaggio di Cristo. Egli, con la sua vita, ha mostrato come l’ubbidienza al Creatore resti il dovere fondamentale dell’uomo.

La legge è dunque un dono divino e come tale va accolta. Grazie a essa comprendiamo noi stessi, i nostri ambiti, i nostri obblighi morali, vediamo i nostri limiti e le nostre colpe; la legge è uno specchio che ci propone continuamente l’esigenza del perdono divino.

L’ubbidienza alla volontà di Dio è frutto della grazia e della «nuova nascita». Chi si sente salvato dal Signore sa che il suo privilegio è quello di essergli fedele e che la sua felicità è legata all’armonia con i suoi precetti. Gli avventisti accettano i dieci comandamenti nella lettera e nello spirito con cui sono scritti in Esodo 20:1-17 e in Deuteronomio 5:6-21.

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