In che cosa crediamo? – La santa Cena

In che cosa crediamo? – La santa Cena

M35-Santa Cena_dottrineAnche questa cerimonia, istituita da Cristo come sostituzione e continuazione della Pasqua giudaica, è considerata dagli avventisti, come da altri cristiani, un simbolo, un segno, senza possedere in sé un’efficacia indipendente dal sentimento di chi vi partecipa. Partecipare alla «Cena del Signore» significa commemorare il sacrificio di Cristo attraverso i simboli del corpo e del sangue del Salvatore rappresentati dal pane e dal vino. Essa è quindi un’espressione di fede nell’azione salvifica della croce.

Accanto all’elemento della commemorazione, la santa Cena presenta anche quello della speranza, dell’annuncio del ritorno di Gesù. L’apostolo Paolo scrive: «Poiché ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1 Cor 11:26). A questa cerimonia, che simboleggia la redenzione di Dio per l’uomo, occorre accostarsi in pace con Dio e con gli uomini. Essa è quindi anche un’occasione di verifica periodica della condizione spirituale del credente.

Gli avventisti, seguendo l’esempio di Gesù, fanno precedere al servizio di comunione con quello della «lavanda dei piedi». «Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri» (Gv 13:14). La «lavanda dei piedi» è una cerimonia che, ricordando l’umiltà di Cristo, ha il compito di risvegliare questo sentimento nei credenti. Essi sono invitati a cogliere l’aspetto comunitario della vita cristiana che richiede tolleranza, spirito di perdono e disponibilità reciproci. Nelle chiese avventiste il servizio di santa Cena è aperto a tutti i credenti in Cristo.

In che cosa crediamo? – Il battesimo

In che cosa crediamo? – Il battesimo

M33-Campo Nord Aisa_battesimoPer natura l’uomo ha bisogno di segni, manifestazioni esteriori, impegni formali in relazione ai momenti fondamentali della sua esistenza. Il battesimo è forse il rito della chiesa più carico di significati affettivi e di fede. Esso non è un atto che ha un valore in sé, come un segno magico, ma è un simbolo che testimonia l’accettazione di Gesù Cristo come personale Salvatore da parte di ogni credente.

Gli avventisti praticano il battesimo degli adulti per immersione, come nella chiesa apostolica. Il battesimo dei neonati non ha una base biblica, perché avviene senza un’espressione di fede esplicita e responsabile da parte di chi lo riceve. Solo chi è in grado di «intendere e di volere» e ha conseguito una sufficiente conoscenza dei principi biblici, così come sono compresi dalla chiesa, può richiedere alla stessa di essere battezzato. Coloro che amministrano il battesimo sono i pastori e gli anziani ai quali la comunità delega, per elezione, anche questa autorità.

Il battesimo è simbolo innanzitutto di “morte e risurrezione”, cioè del processo spirituale della conversione che richiede rinnovamento totale dell’esistenza. L’apostolo Paolo scrive: « O ignorate che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti… così anche noi camminassimo in novità di vita» (Rm 6:3,4).

Ovviamente, affinché la cerimonia abbia un significato, è necessario avere la fede nel Signore Gesù e vivere il ravvedimento. Il battesimo è dunque un patto, una promessa fra Dio e l’uomo, di cui la chiesa è testimone. Mediante il battesimo si entra con pieno diritto, anche formale, nella comunità ecclesiale, con i privilegi e i doveri che questo ingresso comporta. Il giorno del battesimo è quindi un nuovo compleanno per il credente, nato alla vita fisica e psichica dal seno materno, ma rinato per mezzo dello Spirito con il battesimo, per vivere una nuova esistenza accanto al suo Creatore e Salvatore.

In che cosa crediamo? – Doni spirituali e ministeri nella chiesa

In che cosa crediamo? – Doni spirituali e ministeri nella chiesa

Scrive l’apostolo Paolo: «… a ciascun di noi la grazia è stata data secondo la misura del dono  di Cristo… È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo» (Ef 4:7,11,12).

E ancora: «Or vi è diversità di carismi, ma vi è un medesimo Spirito… a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune» (1 Cor 12:4,7). Dio dunque ha provveduto a fortificare la chiesa, a darle «potenza» per svolgere il compito affidatole.

I «doni dello Spirito» non sono talenti o attitudini naturali, ma veri e propri caratteri offerti dal Signore al credente convertito, in vista del servizio cristiano. È la chiesa che deve riconoscere i doni dei suoi membri, permettendo il loro sviluppo in un’atmosfera democratica in cui l’autorità è esercitata sulla base delle capacità spirituali e, appunto, dei doni divini.

Uno dei doni affidati al popolo di Dio in ogni tempo è quello di «profezia», cioè la capacità di essere strumenti per portare uno specifico messaggio di Dio ai credenti e al mondo.

La chiesa avventista ritiene, sulla base di un serio confronto con la Parola di Dio, unico criterio di verità, che nella sua storia il dono di «profezia» si sia manifestato nella vita, nell’insegnamento e negli scritti di Ellen G. White. I suoi scritti, che non sono considerati come un’aggiunta al canone biblico, hanno il compito di confortare, guidare, istruire la chiesa avventista e i suoi fedeli. Essi indicano costantemente la Bibbia come lo strumento fondamentale per la crescita spirituale.

In che cosa crediamo? – Doni spirituali e ministeri nella chiesa

In che cosa crediamo? – La chiesa avventista e la sua missione

In ogni epoca della storia il popolo di Dio ha avuto il compito di portare il messaggio della salvezza che Dio dona agli uomini attraverso l’opera di Cristo: è «l’evangelo eterno» di Apocalisse 14:6. Ma ogni periodo storico ha bisogno, per le situazioni specifiche che lo caratterizzano, di un messaggio particolare per interpretare i tempi e presentare la volontà di Dio per i suoi fedeli.

Nell’Antico Testamento il compito di rivolgere i messaggi particolari di Dio al popolo era affidato ai profeti. I cristiani avventisti credono che la loro chiesa sia sorta nella storia per la volontà di Dio per trasmettere il suo ultimo messaggio al mondo, prima della fine.

La chiesa avventista raccoglie così un’eredità di fede, di principi, di dottrine che altri credenti, altri movimenti riformatori, hanno espresso nei secoli precedenti e li raggruppa in un quadro omogeneo tale da rappresentare «il messaggio» per l’uomo del nostro tempo, il tempo che precede il giudizio finale. Gli elementi centrali di questo messaggio sono: il concetto di un Dio creatore e sovrano, l’eternità e l’importanza della legge divina e delle sue implicazioni religiose e morali, l’imminenza del ritorno glorioso di Cristo e la necessità di preparare il mondo a questo evento. Ogni cristiano avventista è chiamato in particolare a testimoniare la realtà di questa fede con la sua vita.

Crediamo sia dunque nostro compito invitare tutti gli uomini, e innanzitutto i cristiani, a considerare l’unicità del nostro tempo, caratterizzato dall’eclissi del sentimento religioso e da un diffuso senso di mancanza di significato della vita. Gli avventisti, pur invitando gli altri a condividere la propria esperienza spirituale all’interno della loro chiesa, non ritengono che il dono della salvezza sia il patrimonio esclusivo di una religione in particolare.

In che cosa crediamo? – La chiesa

In che cosa crediamo? – La chiesa

La chiesa, così com’è concepita negli scritti neotestamentari e vissuta nel periodo apostolico, è la comunità dei credenti che accettano Gesù Cristo come Signore e Salvatore e pongono la rivelazione divina alla base della propria solidale esperienza di fede.

In continuità con il popolo di Dio dell’Antico Testamento, la chiesa è chiamata a un mandato nel mondo: una missione di servizio e di evangelizzazione. L’invito di Gesù rivolto agli apostoli è diretto a tutti i credenti: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente» (Mt 28:19,20). La chiesa riceve la propria autorità direttamente dal suo fondatore e capo, Gesù Cristo, e dalla Parola di Dio.

La chiesa è la famiglia di Dio e come tale deve realizzare al suo interno un clima di ordine, di solidarietà, di impegno. La chiesa che il Nuovo Testamento presenta è una comunità in cui si entra a far parte per scelta responsabile, per accettazione di Cristo, non per etnia o per nascita. La chiesa è un’istituzione democratica in cui i vari compiti sono assegnati in base alle scelte responsabili dei suoi membri. In una celebre immagine paolina la chiesa è definita come «il corpo di Cristo»; questa espressione offre un’idea chiara dello spirito di unità, di simpatia, di tolleranza e d’amore che deve regnare fra coloro che, sapendosi salvati dalla grazia divina, si uniscono per compiere la sua missione.

L’esperienza cristiana senza la comunità è imperfetta perché manca di una dimensione essenziale, quella orizzontale. Il credente è chiamato a percorrere il suo cammino con gli altri suoi fratelli per crescere insieme seguendo le orme di Gesù Cristo.

In che cosa crediamo? – Doni spirituali e ministeri nella chiesa

In che cosa crediamo? L’esperienza della salvezza

L’esperienza della salvezza nasce necessariamente da quella della perdizione. Pare strano parlare di perdizione in un momento storico come il nostro in cui generalmente i fenomeni psicologici dell’autonomia, dell’autosufficienza, dell’autorientamento sono alla base della concezione individualista della società occidentale. Eppure, guardando oltre i modelli culturali proposti dai mass media, scorgiamo un uomo profondamente perplesso, incapace spesso di porsi in relazione con gli altri, incapace di cogliere il significato ultimo della propria esistenza, ma anche di rassegnarsi a non vederne alcuno.

Al di là degli slogan che propongono uomini e donne sempre giovani, belli, attivi, vediamo masse di individui che si sentono emarginate, che sentono di non avere o di aver perduto i requisiti indispensabili per soddisfare le esigenze di una società basata più sull’avere che sull’essere.

Ma proprio quando l’’essere umano scende nella profondità della sua esistenza, quando sente il rimpianto per una vita spesa inutilmente, può essere raggiunto dalla grazia di Dio. Una grazia che lo aiuta a ritrovare la pace con se stesso e con gli altri, perché è solo nell’esperienza del perdono di Dio che si instaurano anche delle relazioni interpersonali positive.

A volte siamo imprigionati in una gabbia di rancori o siamo ossessionati dai nostri errori. Ebbene, Gesù ci invita a vivere l’esperienza del perdono e della trasformazione. «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo» (Mt 11:28). Ricordiamo l’esperienza del «figlio prodigo»: ritornando a casa, si aspettava d’incontrare un padre adirato, pronto a recriminare e invece l’incontro ha smentito ogni sua aspettativa. Il padre gli butta le braccia al collo, lo bacia e lo riporta a casa, la sua casa.

In che cosa crediamo? – Doni spirituali e ministeri nella chiesa

In che cosa crediamo? – Il peccato

Oggi il concetto di «peccato» è sempre più fuori moda. Recenti statistiche confermano che ben pochi sono i peccati tradizionali considerati ancora tali. La coscienza della gente condanna ancora gesti come l’omicidio, il furto, la menzogna, mentre «riabilita» l’adulterio, la bestemmia, la violazione delle feste e in genere tutto ciò che non comporta danni immediati alla società.

Cos’è in realtà il peccato? Per rispondere occorre rifarsi al testo biblico, precisamente ai primi capitoli della Genesi, in cui è descritto il primo peccato dell’umanità. L’episodio, al di là della lettera, appare profondamente significativo. Siamo di fronte a un dramma che, inserito in una cornice pedagogica adatta a ogni tempo, pone alla nostra attenzione un problema esistenziale molto attuale: chi deve decidere ciò che è giusto o sbagliato? Chi stabilisce il codice etico a cui attenersi? L’uomo risponde in modo chiaro disubbidendo all’ordine divino e affermando così la propria autonomia, la propria sovranità.

La sfida alla sovranità di Dio s’inserisce, d’altra parte, in una situazione di ribellione che trascende la terra e abbraccia l’universo intero. In questo conflitto è presente l’inquietante personaggio di Satana. Il desiderio di autonomia è il presupposto ideologico della nostra società: l’uomo vuole liberarsi da un Dio concepito come un limite alle proprie potenzialità. Egli vuole una libertà assoluta. Ma per quali mete?

Scopriamo, oggi più di ieri, che la nostra libertà si è trasformata in arbitrio e le relative conseguenze ricadono pesantemente su di noi. Per esempio, nel suo rapporto con il creato, l’uomo ha aggredito la natura per sfruttarla senza pudore, ponendo le basi per una prossima distruzione dell’ecosistema mondiale; sul piano etico ha aggredito il fratello, disinteressandosi della sua sorte, della sua fame, della sua miseria. Abbiamo pensato di essere «simili agli dei» e ci ritroviamo, credenti e non, a parlare di una prossima fine del mondo.

In realtà questi gravissimi problemi globali, che l’umanità affronta per la prima volta in maniera così drammatica, hanno origine nel peccato di ogni singolo individuo, nell’egoismo, nella superficialità, nel desiderio di potere, nel clima di sospetto e di critica, in cui ognuno di noi è inserito.

La vita senza Dio appare a molti senza un preciso significato. Occorre una svolta: diversi avvertono confusamente questo bisogno, ma cercano ancora delle soluzioni all’interno della logica umana. C’è bisogno invece di un atto di umiltà: come cristiani crediamo che il sovrano del mondo non sia l’uomo ma Dio. Ci siamo smarriti lungo la strada, ma il Signore non ci ha persi di vista. Abbiamo fallito, abbiamo dilapidato le nostre risorse fisiche e morali, ma Dio desidera strapparci da questa situazione senza uscita, per la quale ha previsto una via di salvezza: il suo meraviglioso perdono.

In che cosa crediamo? – L’uomo e la sua natura

In che cosa crediamo? – L’uomo e la sua natura

Capire la natura dell’essere umano è fondamentale per confrontarsi anche con i problemi della storia. Chi è l’uomo? Una macchina, un elemento produttivo? O semplicemente un animale? La Bibbia ci insegna che l’uomo è stato fatto a immagine di Dio. Questa sacralità dell’uomo, che in forma diversa fa parte anche del patrimonio morale dei non credenti, è alla base della sua dignità, dell’uguaglianza tra i popoli, del suo diritto a una vita esuberante. L’idea dell’immagine di Dio, che perdura nell’uomo come marchio indelebile del suo Creatore, è fondamento di tanti atti di solidarietà tra gli uomini: parliamo dei malati, degli handicappati, dei deboli.

È perché l’uomo è a «immagine» di Dio che tanti cristiani si adoperano anche in favore di chi ha sbagliato, di chi si trova nel vizio, dei tossicodipendenti, degli ammalati di Aids, degli alcolizzati. Ma parlare di «immagine di Dio» non è sufficiente. Ci sono infatti varie teorie relative alla natura dell’uomo che hanno inciso pesantemente sulla storia e sulla prassi delle chiese cristiane.

Per esempio, tradizionalmente, l’uomo è stato concepito secondo i criteri ellenistici che vedevano un’anima immortale imprigionata nel corpo mortale. A ciò era collegata una superiorità dello spirito sulla materia, con gravi conseguenze pratiche come, ad esempio, la svalutazione di ogni attività corporea. La divisione fra anima e corpo, spirito e materia, ha lasciato delle eredità che pesano ancora oggi: dalla diversa dignità del lavoro (quello intellettuale più considerato e remunerato), alla catastrofe ecologica, ecc.

Ma la concezione biblica è diversa; l’uomo è un’unità «psicosomatica», è un’anima vivente (cfr. Gn 2:7). Le distinzioni presenti nella Bibbia fra anima, spirito, corpo, carne, soffio esprimono, nella cultura del tempo, le varie manifestazioni dell’esistenza. È importante sottolineare tutto ciò per due motivi: il primo è che la chiesa deve adoperarsi per l’uomo «nella sua totalità», deve essere al servizio delle esigenze spirituali, ma se occorre anche di quelle fisiche, sociali ed educative.

Il secondo motivo, per cui una giusta concezione dell’uomo è fondamentale, riguarda il nostro destino dopo la morte. Se non esiste un’anima immortale, che ne sarà di noi? Fedele alla tradizione ebraica anche il Nuovo Testamento non parla della sopravvivenza dell’anima, ma di una risurrezione di ogni uomo alla fine dei tempi. Questa è la promessa di Dio. Le conseguenze dottrinali di questa visione dell’uomo che la Scrittura presenta e che la Chiesa Avventista accetta sono immaginabili: per esempio essa rende inammissibile il culto dei morti, la vita dell’aldilà, così com’è concepita da molti cristiani, lo spiritismo, ecc. La morte, che lascia l’uomo nell’incoscienza sino alla risurrezione finale, resta la sua grande nemica e non il passaporto per un’altra dimensione. Essa sarà vinta definitivamente al ritorno di Gesù (cfr. 1 Cor 15:52-54).

[Prossimamente un nuovo video sulla creazione; si tratta di una produzione avventista di buona qualità da consigliare anche ai propri amici]

In che cosa crediamo? – La creazione

In che cosa crediamo? – La creazione

Uno degli attributi fondamentali di Dio in relazione all’uomo e al mondo è quello di «creatore». Dio è creatore non solo dell’uomo, ma di tutte le cose: l’universo è la sua opera. Questo è, per il credente, oggetto primario di fede: «Per fede intendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio» (Eb 11:3). Tuttavia, secondo la Bibbia, la natura e la ragione offrono ampi indizi della loro origine (e della grandezza del Dio creatore) a chi si accosta a esse con animo disponibile e senza pregiudizi. Il racconto della creazione della terra e dell’uomo trova posto nelle prime pagine della Scrittura (cfr. Genesi capitoli 1 e 2), pur con il linguaggio del tempo e in una cornice pedagogica. La narrazione della Genesi e il quadro complessivo del messaggio biblico sono in evidente e insanabile antitesi con l’evoluzionismo, un’ideologia che, comunque adattata, contrasta con alcune verità bibliche essenziali. Il genere umano è stato fatto da Dio «amministratore» e «guardiano» della creazione: l’attuale situazione di irrefrenabile degrado del nostro pianeta mostra quanto l’uomo abbia tradito questo suo elevato compito.

Gli avventisti credono… 1. La Scrittura

Gli avventisti credono… 1. La Scrittura

Il punto fondamentale da cui deve partire l’esperienza di una comunità cristiana è la Bibbia. Solo nella Bibbia Dio ha rivelato il suo carattere, i suoi scopi, il suo piano per la salvezza dell’uomo. Certo, la natura e la stessa coscienza umana possono fornire delle tracce della presenza del Signore nel mondo, ma per diversi aspetti sono indicazioni contraddittorie. La religione cristiana è per definizione una religione rivelata; essa non è il frutto di una scoperta «interiore», ma si basa su una lettera d’amore, a volte scomoda, che Dio ha indirizzato all’uomo.

Indubbiamente, anche nella Bibbia è possibile osservare punti poco chiari, a volte è necessario inserire questa rivelazione divina nel suo contesto storico. Ma è un dato di fatto che l’uomo trovi in essa il piano di Dio, la consolazione per la sua sofferenza, il coraggio per affrontare l’oggi, la speranza per un domani migliore. Soprattutto vi trova l’amore di Dio che, più di ogni altra cosa, si è concretizzato nell’esperienza di Gesù Cristo, vissuto, morto e risorto per la salvezza dell’umanità. La chiesa avventista, come altre denominazioni, accetta la Bibbia nella sua totalità: l’Antico Testamento secondo il canone ebraico e il Nuovo secondo il canone cristiano.

 

Le sante Scritture, Antico e Nuovo Testamento, sono la Parola di Dio redatta, trasmessa per ispirazione divina da santi uomini di Dio, che hanno parlato e scritto guidati dallo Spirito Santo. Tramite questa Parola, Dio ha comunicato all’uomo la conoscenza necessaria per la salvezza. Le Scritture sono la rivelazione infallibile della sua volontà. Esse rappresentano il modello per il carattere, il banco di prova per l’esperienza, l’autorevole rivelazione delle dottrine e l’attendibile racconto degli atti di Dio nella storia (cfr. 2 Pt 1:20,21; 2 Tm 3:16,17; Sal 119:105; Prv 30:5,6; Is 8:20; Gv 17:17; 1 Ts 2:13; Eb 4:12).

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