I lettori scrivono

I lettori scrivono

Maurizio Caracciolo, nell’editoriale dal titolo «Felici senza soldi», che ricorda la scelta di vita della sig.ra Laura Galletti, ex grafica pubblicitaria, afferma che in questa storia «ci sono spunti che devono far riflettere ogni credente». Il fatto ha suscitato in me alcune riflessioni che vorrei condividere. L’atto di donarsi completamente agli altri realizzato così drasticamente da Laura, una scelta che ovviamente richiede rispetto, mi riporta alla mente colui che si è donato, fino all’ultimo respiro, in un gesto d’amore altruistico che supera ogni immaginazione. Come credente sono stata chiamata a condividere le necessità altrui nella realtà concreta di tante esigenze e non solo spirituali, come Gesù è stato vicino ai suoi simili. Secondo me, Laura aveva un potenziale nelle sue mani quando aveva l’impiego che, pur con i ritmi frenetici della vita e del suo lavoro, le permetteva di compiere scelte ancora più belle ed efficaci per se stessa e per gli altri. Ma questo è solo il mio pensiero. (Mira Fabrizi, chiesa di Jesi, AN)

È una storia che può presentare aspetti virtuosi e altri meno condivisibili. Ma offre spunti di riflessione sui quali mi è parso interessante far leva. È ovvio che non è un esempio di per sé, ma in tempi come questi, mi sono chiesto quale importanza attribuisco alla rinuncia, che cosa intendo per «superfluo». E, soprattutto, se sono disposto a privarmi di qualcosa a beneficio di chi non ha niente, o se mi sento «penalizzato» per non poter acquistare la TV 50 pollici 3D, oppure il tablet a display retina o altro. (Maurizio Caracciolo)

Lettere al Messaggero avventista

Lettere al Messaggero avventista

Complimenti per il Messaggero avventista online: è la prima volta che un giornale avventista rispetta il pluralismo, la libertà di espressione e di coscienza. Buona giornata.
Giampiero Vassallo, pastore della chiesa di Lugano

I lettori scrivono

Lettere al Messaggero

Non criticare, ama!
«Non criticare sempre la critica. Potrebbe essere un ammonimento da parte del Signore. Non criticare la critica. Ascoltala! Potrebbe nascondere una verità». Giuseppe Burgio, chiesa di Massa Marittima – GR

Caro fr. Burgio,
la sua lettera sottolinea un aspetto importante; quello cioè che il Signore possa utilizzare i profeti ispirati per rivolgere alla chiesa, che potrebbe trovarsi, consapevolmente o inconsapevolmente, su un sentiero lontano dalla sua volontà, un invito al pentimento. In questo modo il monito avrebbe la funzione di sottolineare una “verità” trascurata, dimenticata o il rischio di scivolare verso la deriva spirituale (cfr. i messaggi alle 7 chiese). Tuttavia, la citazione pubblicata nel numero precedente prende in considerazione quella critica, scaturita da un cuore che non prega, non chiede e non offre perdono, e non ama e che per questo motivo non contiene alcun elemento di verità; diventa malevola perché produce ribellione, polarizzazione e divisione. Ben vengano, invece, le riflessioni di persone che sanno esprimere la «verità con amore» (Ef 4:15), senza ergersi a giudici dell’operato altrui. Questo è l’unico modo per “sfuggire alle arti seduttrici dell’errore” e “crescere” in Cristo. (Giuseppe Marrazzo, direttore)

I lettori scrivono – Adozione: il coraggio dell’amore

I lettori scrivono – Adozione: il coraggio dell’amore

Mi inserisco anch’io nel dibattito aperto in questa testata online sul diritto all’adozione per le coppie omosessuali. Lo faccio in punta di piedi, visto che non sono né un teologo né un sociologo né un educatore, ma solo un genitore di un bimbo adottato.

Sono d’accordo con chi sostiene che in questo contesto, se di diritti dobbiamo parlare, sono centrali i diritti dei bambini. I genitori (gay, single o etero) hanno la possibilità di far incrociare la loro domanda d’amore con quella dei bambini, ma le loro esigenze sono assolutamente subordinate a quelle dei bimbi. Questo è ormai un dato acquisito per chiunque si confronti con il tema dell’adozione, almeno in Europa, diversamente da quanto accadeva un tempo e da quanto accade purtroppo ancora oggi quando si cercano scorciatoie pericolose (per avere bimbi sani, piccoli, magari del sesso che vogliamo noi, ecc.).

E qui mi riferisco all’intervento di Ennio Battista che sostiene che piuttosto che allargare i soggetti in possesso del diritto alla genitorialità (ma parliamo di diritto sempre tra virgolette), occorrerebbe favorire maggiormente le coppie tradizionali che sono scoraggiate da tante difficoltà di ordine finanziario, e non solo.

Condivido questa preoccupazione. Ho speso anch’io molto, senza alcuna sovvenzione. Abbiamo passato, mia moglie Annalisa e io, momenti di grande tensione con gli Enti che ci rifiutavano, con quelli che volevano strapparci un assenso per l’adozione di bambini già preadolescenti e con handicap non ben precisati. Abbiamo dovuto impuntarci – con il rischio di perdere tutto – per non esporci a una sfida superiore alle nostre forze, anche a costo di apparire egoisti.

Poi è arrivato il bambino: è stato bello, ma anche faticoso, come può immaginare chiunque abbia dei bimbi, supponendo di conoscerli al settimo anno di età. Pensavo che fosse un’operazione troppo «cerebrale», una fusione fredda, artificiosa… Quanto mi sbagliavo! Il Signore ci ha benedetto con il magnifico bimbo che ci ha affidato! Il coraggio dell’amore (e mi riferisco qui ad Annalisa) è rischioso, ma è ricompensato… Quel che il futuro ci riserva, non lo conosco, ma conosco il bene del presente, il bene soprattutto che il bimbo sta sperimentando nel suo rapporto con noi.

Tornando al soggetto in questione, vorrei dire ai fratelli che discutono di adozione: è probabile che le associazioni gay strumentalizzino il tema in chiave ideologica (anche se l’accusa potrebbe esserci ritorta contro). Forse si potrebbe cercare di aiutare di più le coppie tradizionali che vogliono adottare, riorganizzando il settore non sempre limpido delle centinaia di enti preposti all’adozione, togliendo alcuni assurdi paletti burocratici, aprendo l’adozione anche ai single. Ma il vero problema è quanto ci vogliamo aprire alla minaccia dell’amore. Chiunque faccia questo percorso non è un eroe, ma certo l’adozione è un percorso che difficilmente si fa a cuor leggero. Oggi è più difficile adottare bambini piccoli e senza problemi di salute, almeno a livello internazionale. I paesi che hanno ratificato un trattato internazionale sull’adozione (la maggioranza), cercano di mantenere i bimbi nel loro ambiente familiare allargato, e comunque nel loro paese. Solo come extrema ratio si apre la soluzione dell’adozione internazionale. Questo significa che, prima di arrivare a questa soluzione, passano spesso diversi anni, molti bimbi entrano nel circuito dell’adozione internazionale già «grandi», e se oltre a ciò non sono in buona salute hanno scarse possibilità di trovare una famiglia adottiva.

In Russia il loro destino, quando va bene, è di rimanere in un istituto, dove poco motivati allo studio, usciranno con scarse competenze, per finire in genere nell’alcol e nella criminalità. Non mi piace l’idea di affidare dei bimbi a coppie omosessuali, ho dei dubbi persino sui single, ma a fronte del niente (perché il rapporto bimbi-genitori adottivi è, nonostante alcune assurdità, assolutamente sbilanciato) è meglio una famiglia con delle disfunzionalità, che almeno sia in grado di assicurare affetto e interesse. Certo, anche queste famiglie devono essere seguite con attenzione (come tutte, del resto), ma dobbiamo metterci nell’ordine di idee che, quando facciamo delle considerazioni generali che riguardano non solo noi e la nostra chiesa ma la polis in generale, dobbiamo orientarci secondo il criterio del male minore, piuttosto che su quello dell’etica in bianco e nero. Lo stesso criterio vale per il tema del divorzio, dell’aborto, forse anche della legalizzazione della droga, sapendo che soluzioni perfette non esistono e che, qualunque scelta uno Stato operi, ci saranno sempre delle controindicazioni. La soluzione perfetta ce la offrirà soltanto Dio nel suo regno.
Roberto Vacca, chiesa di Firenze

I lettori scrivono – Adozione: il coraggio dell’amore

I lettori scrivono – Bibbia o diritti degli omosessuali?

Ho letto con stupore la lettera di Davide Mozzato pubblicata nel numero del 5 marzo, vorrei esprimere le mie perplessità. Considerando l’episodio di Sodoma e Gomorra, mi chiedo come mai Dio nella sua saggezza non abbia pensato di trasformare le due città in una culla per bambini orfani e abbandonati? Non ha voluto o non ha potuto «scendere a patti fra ideale e realtà»? Se la Bibbia considera l’omosessualità una relazione contro natura, quali requisiti abbiamo noi per trasformarla in una cosa di grande utilità? Che tipo di «formazione e sentimenti» riceverà un bambino all’interno di una non-famiglia dove mancano valori morali e spirituali?

Se una madre getta in un cassonetto il proprio figlio, certamente viene meno al suo compito di madre, ma il suo gesto non farà crollare il principio enunciato nella Genesi, quello secondo cui Dio creò l’uomo e la donna e «li benedisse». La gioia di metter al mondo dei figli appartiene per volere divino all’uomo e alla donna che decidono di vivere insieme nel vincolo matrimoniale. La società può decidere ciò che vuole, ma noi che riteniamo di essere «sale della terra» dovremmo quindi conservarne il sapore! Avrei gradito una risposta da parte del direttore per spiegare che l’alternativa ai cassonetti e ai sotterranei puzzolenti dove vivono centinaia di bambini dovrebbe essere la chiesa che mette in pratica l’amore e la libertà di cui spesso parla. Seguendo il ragionamento di Mozzato, che cosa si vuole difendere? La verità contenuta nella Bibbia o i diritti degli omosessuali? Credo che noi oggi ci allineiamo troppo facilmente alle idee del mondo senza nemmeno essere costretti a farlo! Considero quella lettera di ispirazione piuttosto liberale e temo che rispecchi la mentalità di chi ritiene di essere ricco in saggezza nel confrontarsi con i cambiamenti di cultura, idee, valori… Fraterni saluti.
Gabriela Sarbusca, chiesa di Padova

Cara Gabriela,
in genere non rispondo alle lettere pubblicate perché ritengo che il Messaggero avventista appartenga soprattutto ai suoi utenti e mi piace pensare che esso diventi uno strumento affinché i lettori possano dialogare serenamente tra loro pur esprimendo le opinioni più disparate. Incoraggio anche altri e altre a seguire il suo esempio.
Il direttore

I lettori scrivono – Adozione: il coraggio dell’amore

Lettere al Messaggero. Crescere con una coppia gay: tra natura e cultura

Come educatore mi sento interpellato a intervenire in seguito al recente dibattito sul tema delle adozioni da parte delle coppie gay apparso su questa testata (Il Messaggero Avventista Online, n. 5, 9, 11).

La tesi di Mozzato «meglio-poco-che-niente» ha un suo valore intrinseco, soprattutto quando di fronte a problemi concreti desideriamo trovare delle soluzioni pragmatiche piuttosto che dibattere idealmente. Inoltre, la prassi pedagogica di Dio è intrisa di continui aggiustamenti tra ideale-e-realtà (a questo si ispirò Gesù quando disse: «Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandar via le vostre mogli; ma da principio non era così», Matteo 19:8).

Ma siamo proprio sicuri che si possa applicare anche al tema delle adozioni gay? Che un bambino adottato da un coppia gay sia il «male minore»? Che sia la risposta concreta a un reale bisogno?

Per rispondere, dobbiamo prima domandarci da dove proviene l’istanza di tali adozioni. Proviene da uno Stato che si trova con un surplus di bambini orfani, rispetto alla domanda da parte di coppie eterosessuali, e la cui efficacia nel garantire uno Stato sociale verso tali bambini è ridotta al minimo? No di certo. Piuttosto, ci troviamo nel caso di una richiesta da parte del movimento gay, o per meglio dire del movimento Glbt (acronimo di: gay, lesbiche, bi-sessuali, transessuali), che invoca il diritto all’adozione non in virtù del «male minore» quanto quale conseguenza di una richiesta di legittimazione sociale e normalizzazione della diversità. Questo movimento culturale sta facendo pressione legislativa anche tramite ricerche sociologiche nel campo educativo che intendono dimostrare che i figli che crescono in una famiglia omosessuale mostrano un normale sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo, al pari di quelli cresciuti in famiglie eterosessuali.

Non è detto, però, che i risultati di queste ricerche siano indiscutibilmente accettati nel panorama scientifico. Rekers, ad esempio, afferma che gli studi sociali sulle adozioni gay non rispondono ancora ai criteri metodologici propri delle scienze sociali: i campioni intervistati sono ancora troppo limitati; i gruppi di controllo non sempre sono omogenei (ad es. si confrontano coppie omosessuali con genitori singoli); nel caso in cui vengano usati questionari self-report, non si può eliminare la tendenza delle coppie omosessuali a sovra-stimare le caratteristiche dei propri «figli»; ecc.1 Anche Fond e colleghi2, in una recente revisione della letteratura sull’argomento delle adozioni gay, rilevano gli stessi problemi metodologi. Inoltre, e qui è un punto importante, le ricerche attuali si sono concentrate poco sugli effetti a lungo termine del crescere in una famiglia omosessuale. A riguardo, citano il primo studio sulla qualità relazionale («stile di attaccamento») di donne che avevano avuto padri gay o bisessuali3, il cui risultato metteva in evidenza che, rispetto a quelle cresciute da padri eterosessuali, queste donne si sentivano a disagio in situazioni di vicinanza o intimità, erano meno capaci di fidarsi di qualcuno o di fare affidamento sugli altri, e sperimentavano più ansietà nelle loro relazioni.

Ma il problema non può essere circoscritto soltanto agli aspetti evolutivi della personalità, in quanto potremmo anche trovare una coppia gay potenzialmente capace a educare un bambino. Ciò che è in questione, qui, non sono le sole competenze educative quanto un fattore naturale che oggi, sempre più, viene compreso come fattore culturale, cioè: la comprensione della sessualità e lo sviluppo dell’identità di genere. È ovvio che un bambino che crescerà in una coppia gay, inevitabilmente, comprenderà lo sviluppo della sua identità sessuale-biologia non necessariamente dipendente da quella di genere. È questo quello che afferma il movimento Glbt: si può nascere con degli attributi esterni ma sentirsi totalmente altro. Riconoscere questa «libertà laica» all’adulto è una cosa. Proporla – imporla – a un bambino è altra cosa. La genitorialità è un fatto che la natura ha inscritto in un atto d’amore tra un uomo e una donna e ascritto alla medesima diade uomo-donna. Questo valore aggiunto porterà nel bambino la consapevolezza che il dono della procreazione sussiste in lui e grazie a lui. Le adozioni gay, mentre tentano di offrire un apparente vantaggio (a chi, poi, al bambino adottato o ai genitori gay?), minano il fondamento stesso della natura. E visto che sono anche uomo di fede, sono chiamato a valutare la mia idea del mondo – della polis – anche alla luce della rivelazione. Il mio ruolo nella società non è anche questo? Cioè quello di testimoniare quei valori cristiani che sono valori anche in quanto «naturali»?
Roberto Iannò, direttore nazionale del dipartimento Educazione

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Note

1 Rekers, G., & Kilgus, M. (2001-2002). Studies of Homosexual Parenting: A Critical Review. Regent University Law Review, 14 (2), 343-382.
2 Fond, G., Franc, N. & Purper-Ouakil, D. (2012). Homoparentalité et développement de l’enfant: données actuelles. Encephale, 38 (1), 10-15.
3 Sirota, T. (2009). Adult Attachment Style Dimensions in Women Who Have Gay or Bisexual Fathers. Arch Psychiatr Nurs; 23 (4), 289-97.

I lettori scrivono – Adozione: il coraggio dell’amore

Lettere al Messaggero. Adozioni alle coppie gay

Disagio. Credo che sia la parola più adatta nel sintetizzare i tentativi di inquadrare il tema dell’omosessualità all’interno di una cornice laica e allo stesso tempo biblica. Disagio è il termine che sento esprimere dall’autore della replica (Davide Mozzato) all’editoriale on line di Raffaele Battista (Il Messaggero Avventista Online n. 5) sulla legge che autorizza in Francia l’adozione anche per le coppie omosessuali. Lo prova il fatto che Davide dichiara di essere passato da una sostanziale approvazione delle tesi di Raffaele a un relativo rapido passaggio a importanti distinguo. Fino a una sostanziale presa di distanza dalle perplessità di Raffaele sull’opportunità di concedere questa facoltà a coppie non eterosessuali.

Le obiezioni di Davide si possono affrontare opponendo un’altra fondamentale questione: prima di arrivare ad affidare un bambino a una coppia omosessuale quante coppie etero sono in lista di attesa per ottenere un affidamento? Perché attualmente, soprattutto in Italia, l’iter per arrivare all’adozione è alquanto macchinoso e scoraggiante. A tal punto che molte coppie si rivolgono all’estero, affrontando spese ingenti – fino a oltre 20 mila euro – per accogliere il bambino rimasto senza genitori. Non sarebbe quindi meglio lavorare a facilitare le coppie etero, che fino a prova contraria, con tutte le limitazioni di una condizione di «peccato», sono le realtà preposte a mettere al mondo dei figli?

Mi chiedo se di fronte a temi di estrema sensibilità nell’opinione pubblica prevalga più la preoccupazione di essere «politicamente corretti» rispetto invece alla necessità di esprimere pareri magari scomodi ma più vicini a un orientamento etico, nel nostro caso biblico. E così facendo, di perdere di vista soluzioni più adeguate allo stesso problema.

Ovviamente, non si stratta di fare discriminazioni o di considerare, in assoluto, patologica l’omosessualità. Anche se va ricordato che il processo con cui si arrivò a togliere il termine patologico a questa dimensione dell’essere avvenne in modo più politico che scientifico: nel 1973 nel Manuale di Diagnostica, Dsm-II, si ridefinì, sembra dietro pressioni culturali, l’omosessualità come «disturbo dell’orientamento sessuale» (vedi anche il Dossier Sessualità pubblicato dall’Unione avventista nel 2010, pp. 80-88).

A me sembra sempre più evidente che nella nostra chiesa si fatichi a realizzare un vero e proprio dibattito teologico su temi etici così spinosi. In realtà si fanno tentativi dialettici di gestire la difficoltà di affrontare un pensiero che nel tempo diventa maggioritario (accettazione nella pubblica opinione della condizione omosessuale), con le tradizionali categorie bibliche. Con il rischio di arrivare a conclusioni sbrigative, senza i dovuti passaggi intermedi di riflessione, ridiscussione ed eventualmente nuova sintesi. O, ancora peggio, a considerare la Bibbia un libro di ideali belli ma irrealizzabili.

Permettetemi quindi una semplice nota sociologica finale. I nostri leader spirituali e teologi, nell’affrontare temi del genere, tengano conto del substrato culturale e biblico delle nostre comunità, frutto di ultra secolari sedimentazioni. E non arrivino a considerare improvvisamente privi di fondamento (ma non mi sto riferendo a Mozzato) certi argomenti etici che da letture bibliche emergono invece come certezze.

Ennio Battista, direttore del dipartimento Ministeri della Salute

 

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